Sulla frequenza agli allenamenti

Che dice? È possibile fare solo due lezioni invece di tre?
Tremo sempre quando mi viene rivolta fatta questa domanda, perché so in cuor mio che cercherò di esprimere un pensiero rivolto all’interesse dei ragazzi, che il più delle volte non verrà compreso.
Accenno appena alle motivazioni che accompagnano la richiesta, generalmente sempre le stesse, in ordine di frequenza: il giorno di piscina, la lezione d’inglese, di musica, il catechismo o ancora l’idea di lasciare del tempo libero, più raramente impegni relativi alla salute dei bimbi.
Bimbi appunto “quindi certo è tutto possibile” mi affretto ad aggiungere, tutto è meglio di niente. L’offerta è quella di una disciplina altamente formativa, completa, ricca; perché far perdere quest’occasione.
Poi c’è sempre la possibilità -per fortuna frequente- che il bimbo o i genitori si appassionino e allora il tempo si troverà certamente.
Ma no, ovviamente non è la stessa cosa allenarsi due volte invece che tre, tre volte invece che quattro o cinque. Poi ci sono i distinguo, l’età, le motivazioni, gli obiettivi.
Il Jūdō è uno sport di combattimento!
Chi porta un figlio o (sempre più spesso) una figlia a fare Judo lo sa, e si aspetta di conseguenza una serie di risultati che vanno dall’acquisizione di competenze di auto-difesa alle capacità necessarie per una vittoria sportiva.
Anche se generalmente la richiesta fatta è quella di “disciplinare”, “fare sport”, “trarre benefici di carattere psico-motorio” magari su stimolo degli insegnati di scuola, alla fine quello che si legge negli occhi del genitore è che il proprio figlio performi, riesca, sia più forte, sviluppi capacità di reazione fisica.
Mi sembra pure giusto però, va sottolineato, raramente ci si accontenta dell’acquisizione di un equilibrio, di un benessere psico-fisico…più spesso ci si aspetta “aumenti la grinta” o cose così.
Ora, il discorso rischia di diventare lungo, quindi cercherò di riassumere le casistiche prevalenti e di spiegare perché no, non va bene due invece di tre, è accettabile, si può fare, ma non va bene e chi (fra i miei colleghi) dice il contrario mente o non sa di cosa parla.
Bimbi molto piccoli di 3/5 anni; alcuni ritengono valga la pena iniziare molto presto e a me pare sempre una buona idea, purché si abbiano le idee chiare…rammento la mamma di un cinquenne che dopo pochi mesi, non apprezzando la crescita marziale del piccolo, mi disse che intendeva portarlo a fare pugilato (!).
Ecco, i bimbi molto piccoli che iniziano, loro possono a mio avviso frequentare un paio di volte a settimana. Attenzione però, ripeto: piccoli e che iniziano! Un bimbo dopo due anni di frequenza regolare, anche se ancora piccolino, avrà acquisito competenze motorie, regole e distinzione dei ruoli che, per radicarsi, richiedono una frequenza maggiore rispetto al piccolo neofita.
Già a sei anni la questione è differente. Siano le motivazioni puramente didattiche o formative che spingono a scegliere la disciplina, il Jūdō è uno sport di lotta e il bimbo che lotta vuole generalmente vincere!
È proprio in questa fascia, fra i sei e i nove anni, che si sviluppa la coscienza del combattente e in questa disciplina, attraverso il combattimento, passano tutti i processi psicologici: lo sviluppo del rispetto, della corretta relazione con il compagno e con lo sfidante, l’accettazione della sconfitta, il giusto approccio alle dinamiche di gruppo, alle relazioni con gli insegnanti, l’affermazione della propria identità e molto altro.
I bimbi possono poi avere diverse problematiche, caratteriali, psicologiche e il Judo è un ottimo strumento per affrontarle, ma bisognerebbe far fare agli insegnanti il loro lavoro, un lavoro che richiede tempo, pazienza e relazione. Come si può pensare di sostenere (o anche correggere, perché no?) un bimbo portandolo per un’ora in una lezione collettiva solamente un paio di volte a settimana? Faccio sempre osservare che se un piccolo atleta viene portato il lunedì e il venerdì, fra una lezione a l’altra passa quasi di una settimana. Non serve essere dei pedagogisti per accorgersi di quanto ciò possa essere poco efficace.
Dai nove agli undici anni ci si avvia all’agonismo, iniziano le prime esperienze fuori dal proprio Dōjō, piccoli stage, allenamenti inter-sociali, piccole competizioni.
Ora, non è importante se il bimbo in questa fascia d’età sia un neofita o meno, se si unisce in un gruppo dovrà naturalmente adattarsi e confrontarsi con quei ritmi…magari non subito, ma già dopo pochi mesi vorrà “essere come gli altri”.
Ora una piccola nota didattica personale, personalmente ritengo ineludibile il valore formativo dell’attività agonistica quale stimolo e momento di confronto e crescita. A prescindere dal risultato e certo con la cura e l’attenzione alle dinamiche di accettazione della sconfitta.
Ma…a quale combattente piace perdere?
Insomma diventa il classico circolo virtuoso, più mi alleno più vinco, più vinco più mi diverto, più mi diverto e più mi voglio allenare. Da sottolineare, per i critici dell’agonismo, che oramai ci sono circuiti per ogni livello e che un insegnante deve saper scegliere gli obiettivi giusti per i propri allievi.
Mi ripeto…non parlo in senso generale, mi riferisco a coloro i quali scelgono questo specifico sport di combattimento per i più svariati motivi, anche senza ambizioni agonistiche.
Cosa succede al bimbo che frequenta poco o che fa spesso assenze (per i più disparati motivi)?
È intuibile, non si amalgama, non entra nel gruppo, non cresce come i compagni che si allenano di più, vede gli altri migliorare attorno a se, diventare più forti e/o più abili. Li vede appassionarsi, porsi degli obiettivi e raggiungerli…ma fatica a stare al loro passo, spesso fatica non solo a livello mentale, ma proprio fisico.
Questa è una delle cause più frequenti del cosiddetto drop-out sportivo, l’abbandono.
Il bambino che partecipa regolarmente alle lezioni trae invece benefici continui e costanti, anche laddove non particolarmente dotato, impara a gioire dei successi dei compagni, è integrato nella squadra con il ruolo che l’insegnante avrà saputo creargli, saprà godere delle soddisfazioni derivanti dall’ingaggio in confronti a lui adatti. In poche parole magari non sarà un campioncino ma crescerà con una identità da sportivo che potrà fiorire più tardi, magari nell’adolescenza.
Ecco qui, ora ci troviamo proiettati nell’adolescenza.
In quasi tutti gli sport gli atleti di altissimo livello già intorno ai vent’ anni sono fortemente performanti, in alcuni sport anche prima.
Chi vuole approfondire le dinamiche della precocizzazione sportiva troverà molto materiale in rete.
E così anche nel Jūdō? Evidentemente si.
Ciò è un bene? A mio pare no…ma è così.
Ne consegue che l’adolescente “che vuole arrivare” (poi dove è un altro discorso…), dovrà allenarsi cinque o sei giorni a settimana, escluse ovviamente le sessioni di preparazioni atletica.
Questo diviene quindi un percorso impegnativo a tutti i livelli: scolastici, psicologici, di salute, sociali e anche economici, ma è proprio un altro discorso che merita trattazione a parte.
Anche qui, chi dice il contrario ignora…oppure mente per qualche proprio tornaconto.
Esiste è vero, e io lo caldeggio, un agonismo sano ed equilibrato, che non assorbe la totalità del tempo dei giovani ma, anche in questo caso lascia intatto solo l’impegno scolastico e pochissimo altro, richiede perciò rigore e serietà.
Ma i benefici, lasciatemi dire, sono immensi!
Normalmente uno sportivo di livello medio-alto ha relazioni sociali sane (dico sempre che tanto tempo in palestra vuol dire meno tempo per strada), sa gestire il suo tempo, organizzare i propri impegni, si pone questioni valoriali; fa insomma parte di quella che possiamo chiamare una bella gioventù.
Tutto è meglio di niente, ma le famiglie dovrebbero dialogare maggiormente con gli insegnanti sportivi e trovare soluzioni, soprattutto per evitare l’abbandono o peggio il nomadismo sportivo perpetuo (tale proprio perché si riproducono le stesse dinamiche in ogni disciplina sperimentata).
Bisognerebbe ragionare con una dose di lungimiranza e fare scelte proiettate nel futuro che spesso richiedono l’impegno delle famiglie nell’organizzare l’attività sportiva dei figli in modo che non sia parziale.
Lo sport è decisamente qualcosa che può influenzare in maniera positiva e determinante la vita di un giovane. Chi lo ha fatto lo sa e sa che maggiore sarà l’impegno, maggiori saranno le soddisfazioni e i benefici.

Torna al sommario 👈